Web, le regole ci sono. Basta farle rispettare
Inviato: 4 maggio 2013, 11:59
Invocare misure speciali è inutile e pericoloso, vanno applicate le norme contro chi utilizza i social network per aggredire
Andrea Mancia - Sab, 04/05/2013 - 07:55
I sostenitori della censura su internet sono come i cantori delle apocalissi climatiche. A intervalli più o meno regolari mettono fuori la testa per dare vita a un gran baccano (spesso fondato sul nulla). E si può fare davvero poco per evitarli. Se non cercare di ignorarli, almeno fino al prossimo, catastrofico, «allarme globale». Prima la Rete «paradiso dei pedofili», oggi «covo di stalker anti-femministi».
I censuratori cambiano obiettivo, a seconda della stagione e dei loro gusti personali (sempre e comunque politicamente corretti), ma la soluzione che propongono è sempre la stessa, fin dagli albori della rivoluzione telematica: mettere fine alla cosiddetta anarchia del web. Eppure basterebbe scorrere rapidamente la lista delle nazioni che questa «battaglia» la combattono - seriamente (Iran, Cina, Corea del Nord, Cuba, Siria, Vietnam) o meno seriamente (Francia, Russia, Turchia) - per rendersi conto che qualcosa non va.
Per la verità , l'intervista al presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha riportato alla luce qui da noi il dibattito sulla censura di internet, ha fatto più scalpore per il titolo (forzatissimo, come nella migliore tradizione repubblichina) che per i contenuti, piuttosto fiacchi, del Boldrini-pensiero. Ma più che i dettagli della proposta dell'ex portavoce Onu, troppo vaghi perfino per essere commentati, è interessante notare il riflesso pavloviano di chi si è fatto portatore del suo messaggio di fondo: colpire il mezzo, invece di colpire chi utilizza (illegalmente) il mezzo.
In Italia, infatti, come nel resto del pianeta, il quadro normativo necessario per punire chi minaccia di morte qualcuno - a prescindere dal genere sessuale - esiste già . Se il nostro sistema ha un problema, è certamente quello dell'ipertrofia normativa che ingigantisce il potere «selettivo» dei magistrati, non certo quello della mancanza di leggi. E davvero non si sente la mancanza di codici e codicilli scritti apposta per il web. Esistono forse norme specifiche contro chi commette reati utilizzando il telefono?
Quella che, al contrario, in Italia manca quasi del tutto, è la preparazione specifica di chi la legge dovrebbe farla rispettare. Chi scrive ha avuto la sventura di essere chiamato a testimoniare in un processo per «minacce via web». E si è trovato nella surreale posizione di dover recitare, contemporaneamente, la parte del «testimone» e quella del «consulente tecnico» per un giudice che non aveva la più pallida idea di come comportarsi di fronte a un reato commesso in un mondo alieno ed ostile come quello di internet. Dall'ignorantia legis all'ignorantia iudicis: davvero un bel passo in avanti.
Che il web, spesso, possa trasformarsi in un luogo spiacevole è un dato di fatto. È il principio della folla, della massa, dove l'individuo si sente meno vigliacco e più protetto dal numero. È il chiasso da bar di chi pensa di poter dire di tutto, tanto si sa che mica uno parla sul serio. È la vecchia logica di chi lancia insulti o minacce dietro le spalle, perché è più facile non guardare negli occhi chi stai diffamando o colpendo. La rete ha favorito gli anonimi, la cultura del nick name, ma all'inizio più per folklore o per ripetere la cultura dei radioamatori, non certo per il crimine. Poi i delinquenti arrivano ovunque e il web non può fare eccezione. Anzi, rispetto ai tempi andati, oggi l'anonimato in rete è una pratica sempre meno diffusa. È la conseguenza dei social network, dove di solito vai con nome e cognome e metti da parte il nick.
Non c'è dubbio però che sia proprio l'anonimato a moltiplicare quello che gli americani chiamano «nasty effect» (effetto-cattiveria) di chi crede di potersi nascondere dietro a un'identità virtuale per dire e fare cose che nel mondo reale non avrebbe mai il coraggio, o la decenza, neppure di pensare. Credere, però, che si possa risolvere il problema con operazioni di censura, più o meno «soft», sarebbe un gravissimo errore di prospettiva. Oltre che uno sforzo, molto probabilmente, del tutto inutile.
Fonte: Il Giornale.it
Andrea Mancia - Sab, 04/05/2013 - 07:55
I sostenitori della censura su internet sono come i cantori delle apocalissi climatiche. A intervalli più o meno regolari mettono fuori la testa per dare vita a un gran baccano (spesso fondato sul nulla). E si può fare davvero poco per evitarli. Se non cercare di ignorarli, almeno fino al prossimo, catastrofico, «allarme globale». Prima la Rete «paradiso dei pedofili», oggi «covo di stalker anti-femministi».
I censuratori cambiano obiettivo, a seconda della stagione e dei loro gusti personali (sempre e comunque politicamente corretti), ma la soluzione che propongono è sempre la stessa, fin dagli albori della rivoluzione telematica: mettere fine alla cosiddetta anarchia del web. Eppure basterebbe scorrere rapidamente la lista delle nazioni che questa «battaglia» la combattono - seriamente (Iran, Cina, Corea del Nord, Cuba, Siria, Vietnam) o meno seriamente (Francia, Russia, Turchia) - per rendersi conto che qualcosa non va.
Per la verità , l'intervista al presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha riportato alla luce qui da noi il dibattito sulla censura di internet, ha fatto più scalpore per il titolo (forzatissimo, come nella migliore tradizione repubblichina) che per i contenuti, piuttosto fiacchi, del Boldrini-pensiero. Ma più che i dettagli della proposta dell'ex portavoce Onu, troppo vaghi perfino per essere commentati, è interessante notare il riflesso pavloviano di chi si è fatto portatore del suo messaggio di fondo: colpire il mezzo, invece di colpire chi utilizza (illegalmente) il mezzo.
In Italia, infatti, come nel resto del pianeta, il quadro normativo necessario per punire chi minaccia di morte qualcuno - a prescindere dal genere sessuale - esiste già . Se il nostro sistema ha un problema, è certamente quello dell'ipertrofia normativa che ingigantisce il potere «selettivo» dei magistrati, non certo quello della mancanza di leggi. E davvero non si sente la mancanza di codici e codicilli scritti apposta per il web. Esistono forse norme specifiche contro chi commette reati utilizzando il telefono?
Quella che, al contrario, in Italia manca quasi del tutto, è la preparazione specifica di chi la legge dovrebbe farla rispettare. Chi scrive ha avuto la sventura di essere chiamato a testimoniare in un processo per «minacce via web». E si è trovato nella surreale posizione di dover recitare, contemporaneamente, la parte del «testimone» e quella del «consulente tecnico» per un giudice che non aveva la più pallida idea di come comportarsi di fronte a un reato commesso in un mondo alieno ed ostile come quello di internet. Dall'ignorantia legis all'ignorantia iudicis: davvero un bel passo in avanti.
Che il web, spesso, possa trasformarsi in un luogo spiacevole è un dato di fatto. È il principio della folla, della massa, dove l'individuo si sente meno vigliacco e più protetto dal numero. È il chiasso da bar di chi pensa di poter dire di tutto, tanto si sa che mica uno parla sul serio. È la vecchia logica di chi lancia insulti o minacce dietro le spalle, perché è più facile non guardare negli occhi chi stai diffamando o colpendo. La rete ha favorito gli anonimi, la cultura del nick name, ma all'inizio più per folklore o per ripetere la cultura dei radioamatori, non certo per il crimine. Poi i delinquenti arrivano ovunque e il web non può fare eccezione. Anzi, rispetto ai tempi andati, oggi l'anonimato in rete è una pratica sempre meno diffusa. È la conseguenza dei social network, dove di solito vai con nome e cognome e metti da parte il nick.
Non c'è dubbio però che sia proprio l'anonimato a moltiplicare quello che gli americani chiamano «nasty effect» (effetto-cattiveria) di chi crede di potersi nascondere dietro a un'identità virtuale per dire e fare cose che nel mondo reale non avrebbe mai il coraggio, o la decenza, neppure di pensare. Credere, però, che si possa risolvere il problema con operazioni di censura, più o meno «soft», sarebbe un gravissimo errore di prospettiva. Oltre che uno sforzo, molto probabilmente, del tutto inutile.
Fonte: Il Giornale.it