Charles Babbage nonno del computer a sua insaputa
Inviato: 8 aprile 2012, 10:26
Nella mostra di Racconigi “Dai graffiti a Steve Jobs†la storia di un matematico inglese e della sua “macchina differenzialeâ€
PIERO BIANUCCI
Racconigi (cn)
La cosa surreale è che la mostra «Dai graffiti a Steve Jobs» si snoda nel Castello di Racconigi. Eppure queste mura della reggia sabauda disegnate dal barocco Guarini e rimaneggiate dal neoclassico Borra un legame con la tecnologia elettronica ce l’hanno. Nel 1902 Vittorio Emanuele III vi ospitò Guglielmo Marconi, che aveva appena stupito il mondo collegando via radio l’Europa con l’America. E già nel 1840 re Carlo Alberto aveva accolto a Racconigi Charles Babbage, il padre (nonno?) del computer.
La mostra dedica alle loro imprese una stanza dell’appartamento reale. Accanto troviamo la stazione radio del Titanic (710 naufraghi salvati nel 1912 dal telegrafo senza fili di Marconi) e la Tenda Rossa di Nobile, trasvolatore del Polo Nord che nel 1928 affidò la sua vita a un S.O.S. In altre sale, le millenarie tappe della storia della comunicazione: tavolette di argilla, papiri, pergamene, carta, libro, giornale, telegrafo, telefono, fonografo, cinema, tv, computer, fino all’iPad. Spiccano i prestiti dell’Associazione italiana radioamatori e dei collezionisti delle radio d’epoca. Madrina dell’inaugurazione, Elettra Marconi, figlia dell’inventore premiato con il Nobel nel 1909.
Sotto traccia, s’intrecciano storie curiose. Quella di Babbage, per esempio. Nato nel 1791, professore di matematica a Cambridge, Babbage visse una giovinezza accelerata:sisposònel 1814, ebbe otto figli, rimase vedovo nel 1827 e nel 1832 presentò alla Royal Society il progetto di una «macchina differenziale» in grado di fare qualsiasi calcolo eseguendo istruzioni scritte su schede perforate. In pratica, l’antenato del computer.
Alla fine del 1840, per volontà del re Carlo Alberto, l’Accademia delle Scienze di Torino ospitò il secondo congresso degli scienziati italiani e Babbage fu l’ospite d’onore. Arrivò con un baule che conteneva i disegni della macchina, lo accompagnava Federico Prandi, in esilio a Londra per aver partecipato ai moti libertari del 1821. Per la prima volta si discusse tra scienziati di una macchina programmabile e fu l’alba dell’era informatica.
Giovanni Plana, ingegnere militare, astronomo e borioso accademico, si era assunto il compito di descrivere in un articolo la macchina di Babbage, ma quando si accorse di capirci poco passò l’incarico al suo giovane collaboratore Luigi Federico Menabrea. L’articolo di Menabrea, subito tradotto in inglese, fu acutamente commentato dalla contessa Ada di Lovelace, figlia del poeta Lord Byron, una brillante matematica che si era interessata alla macchina differenziale fin dal 1833, quando, a 17 anni, aveva conosciuto Babbage rimanendone affascinata, come prova la fitta corrispondenza tra i due.
Ada Byron Lovelace definì il concetto di programmabilità e i limiti intrinsecidiuncomputer: «Lamacchina matematica – scrisse – non ha la pretesa di creare nulla. Può analizzare, ma non ha le capacità di anticipare le connessioni o le verità analitiche. L’unica sua funzione è quella di rendere accessibili le conoscenze già acquisite». Concetto oggi noto come «regime di Lovelace», rimasto valido per tutte le macchine fino all’avvento dell’Intelligenza Artificiale. Ada suggerì anche di usare la macchina di Babbage come guida del telaio per tessitura e per questo oggi è considerata la prima programmatrice della storia. In suo onore il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha voluto chiamare «Ada» il linguaggio per la standardizzazione dei software.
Donna di passioni travolgenti – in coerenza con il cognome acquisito sposando William King conte di Lovelace – Ada fu bella, intelligente e sfortunata. Sirovinòconl’oppioelescommessesui cavalli da corsa, gioco per il quale aveva elaborato un programma che avrebbe dovuto aiutare lo scommettitore a puntare sul cavallo giusto. Purtroppo il calcolo delle probabilità non era il suo forte. Per pagare i debiti di gioco venderà i gioielli di famiglia.
Quanto alla macchina di Babbage, non vide mai la luce se non sotto forma di qualche ingranaggio che ne mostrava il principio di funzionamento. I tempi non erano maturi, bisognava passare dalla meccanica all’elettronica. Se realizzato, il progetto di Babbage avrebbe portato a un intrico di meccanismi grande come uno stadio da calcio e avrebbe richiesto l’energia di un gigantesco motore a vapore. Il primo ministro inglese Benjamin Disraeli lo capì, negò ulteriori finanziamenti e liquidò Babbage dicendogli che l’unica applicazione concreta di quella macchina sarebbe stata il calcolo delle somme già spese per le ricerche.
Ma per il personal computer non è vero che si dovette aspettare l’arrivo di Bill Gates e Steve Jobs. L’archetipo risale al 1964. Lo concepì in casa Olivetti Pier Giorgio Perotto, nato a Torino nel 1930, morto a Genova nel 2002, ingegnere informatico. È sua la «Programma 101», detta familiarmente «perottina», ora in mostra a Racconigi. Il lancio mondiale avvenne a New York nell’ottobre del 1965. Il Wall Street Journal la definì pagare 900 mila dollari alla Olivetti per aver violao il brevetto registrato da Perotto tre anni prima.
Fonte: http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/449455/
PIERO BIANUCCI
Racconigi (cn)
La cosa surreale è che la mostra «Dai graffiti a Steve Jobs» si snoda nel Castello di Racconigi. Eppure queste mura della reggia sabauda disegnate dal barocco Guarini e rimaneggiate dal neoclassico Borra un legame con la tecnologia elettronica ce l’hanno. Nel 1902 Vittorio Emanuele III vi ospitò Guglielmo Marconi, che aveva appena stupito il mondo collegando via radio l’Europa con l’America. E già nel 1840 re Carlo Alberto aveva accolto a Racconigi Charles Babbage, il padre (nonno?) del computer.
La mostra dedica alle loro imprese una stanza dell’appartamento reale. Accanto troviamo la stazione radio del Titanic (710 naufraghi salvati nel 1912 dal telegrafo senza fili di Marconi) e la Tenda Rossa di Nobile, trasvolatore del Polo Nord che nel 1928 affidò la sua vita a un S.O.S. In altre sale, le millenarie tappe della storia della comunicazione: tavolette di argilla, papiri, pergamene, carta, libro, giornale, telegrafo, telefono, fonografo, cinema, tv, computer, fino all’iPad. Spiccano i prestiti dell’Associazione italiana radioamatori e dei collezionisti delle radio d’epoca. Madrina dell’inaugurazione, Elettra Marconi, figlia dell’inventore premiato con il Nobel nel 1909.
Sotto traccia, s’intrecciano storie curiose. Quella di Babbage, per esempio. Nato nel 1791, professore di matematica a Cambridge, Babbage visse una giovinezza accelerata:sisposònel 1814, ebbe otto figli, rimase vedovo nel 1827 e nel 1832 presentò alla Royal Society il progetto di una «macchina differenziale» in grado di fare qualsiasi calcolo eseguendo istruzioni scritte su schede perforate. In pratica, l’antenato del computer.
Alla fine del 1840, per volontà del re Carlo Alberto, l’Accademia delle Scienze di Torino ospitò il secondo congresso degli scienziati italiani e Babbage fu l’ospite d’onore. Arrivò con un baule che conteneva i disegni della macchina, lo accompagnava Federico Prandi, in esilio a Londra per aver partecipato ai moti libertari del 1821. Per la prima volta si discusse tra scienziati di una macchina programmabile e fu l’alba dell’era informatica.
Giovanni Plana, ingegnere militare, astronomo e borioso accademico, si era assunto il compito di descrivere in un articolo la macchina di Babbage, ma quando si accorse di capirci poco passò l’incarico al suo giovane collaboratore Luigi Federico Menabrea. L’articolo di Menabrea, subito tradotto in inglese, fu acutamente commentato dalla contessa Ada di Lovelace, figlia del poeta Lord Byron, una brillante matematica che si era interessata alla macchina differenziale fin dal 1833, quando, a 17 anni, aveva conosciuto Babbage rimanendone affascinata, come prova la fitta corrispondenza tra i due.
Ada Byron Lovelace definì il concetto di programmabilità e i limiti intrinsecidiuncomputer: «Lamacchina matematica – scrisse – non ha la pretesa di creare nulla. Può analizzare, ma non ha le capacità di anticipare le connessioni o le verità analitiche. L’unica sua funzione è quella di rendere accessibili le conoscenze già acquisite». Concetto oggi noto come «regime di Lovelace», rimasto valido per tutte le macchine fino all’avvento dell’Intelligenza Artificiale. Ada suggerì anche di usare la macchina di Babbage come guida del telaio per tessitura e per questo oggi è considerata la prima programmatrice della storia. In suo onore il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha voluto chiamare «Ada» il linguaggio per la standardizzazione dei software.
Donna di passioni travolgenti – in coerenza con il cognome acquisito sposando William King conte di Lovelace – Ada fu bella, intelligente e sfortunata. Sirovinòconl’oppioelescommessesui cavalli da corsa, gioco per il quale aveva elaborato un programma che avrebbe dovuto aiutare lo scommettitore a puntare sul cavallo giusto. Purtroppo il calcolo delle probabilità non era il suo forte. Per pagare i debiti di gioco venderà i gioielli di famiglia.
Quanto alla macchina di Babbage, non vide mai la luce se non sotto forma di qualche ingranaggio che ne mostrava il principio di funzionamento. I tempi non erano maturi, bisognava passare dalla meccanica all’elettronica. Se realizzato, il progetto di Babbage avrebbe portato a un intrico di meccanismi grande come uno stadio da calcio e avrebbe richiesto l’energia di un gigantesco motore a vapore. Il primo ministro inglese Benjamin Disraeli lo capì, negò ulteriori finanziamenti e liquidò Babbage dicendogli che l’unica applicazione concreta di quella macchina sarebbe stata il calcolo delle somme già spese per le ricerche.
Ma per il personal computer non è vero che si dovette aspettare l’arrivo di Bill Gates e Steve Jobs. L’archetipo risale al 1964. Lo concepì in casa Olivetti Pier Giorgio Perotto, nato a Torino nel 1930, morto a Genova nel 2002, ingegnere informatico. È sua la «Programma 101», detta familiarmente «perottina», ora in mostra a Racconigi. Il lancio mondiale avvenne a New York nell’ottobre del 1965. Il Wall Street Journal la definì pagare 900 mila dollari alla Olivetti per aver violao il brevetto registrato da Perotto tre anni prima.
Fonte: http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/449455/